"Dio perché hai fatto tutto questo, guarda il tuo palcoscenico, guarda l’universo che hai creato!”. Due donne si ritrovano in un teatro vuoto allestito in un manicomio e osservano il mondo “fuori”: guerre, tradimenti, conflitti tra individui.
Ma Isabella e Virginia non sono “matte”: sorrette da quell’amicizia che non ha vie di fuga (un figlio" bastardo", un cuore infranto e tutta la vita a rincorrere sogni) si raccontano guardando gli altri da un ponte ideale. Quello che le separa dal mondo libero.
Virginia (la voce narrante), cantilena veneta e ingenuità, ricorda le popolane di Goldoni, il teatro dell’assurdo e molte (azzeccatissime) commedie di strada. Tenera e pungente, incarna la saggezza dei “pazzi”: gli unici che possono dire impunemente ciò che normalmente è proibito. O inopportuno.
Isabella è il contraltare romanesco: punta dritto alla profondità, senza perifrasi e senza sconti. Perché i matti, che non conoscono le buone maniera, spesso conoscono la verità.
Del resto i folli - i visionari - hanno un posto speciale nella letteratura di tutti i tempi: dall’Euripide all’Orlando furioso, da Don Chisciotte all’Amleto, da Eduardo Scarpetta con il suo ‘O miedico d’e pazze, a Pirandello con il Berretto a sonagli o Cosi e se vi pare.
Troviamo un folle nella commedia di Edoardo de Filippo (Ditegli sempre di sì) e nel teatro dell’assurdo di Beckett, Jonesco e Jean Jenet.
Anche la metafora della lanterna è un una citazione: rievoca Zarathustra, un altro "matto letterario" alla perenne caccia di risposte. E alla ricerca dell'esistenza di Dio.
L’Elleboro invece è un richiamo alla mitologia classica: è la pianta che ridona il senno al figlio del re di Tirinto. Insomma, tutto si tiene nella "storia della santa Virginia e della fortunata Isabella".
In questa versione lieve e auto-ironica dell'"elogio della follia" c'è un messaggio mai veramente passato di moda: chi può dirsi veramente esente dalla pazzia?
E c'è un monito: non condannate, non demonizzate, non sottovalutate. Un giorno la follia potrebbe essere la vostra unica via di fuga. L'uscita di emergenza.
Per questo, direbbe Alda Merini, in fondo anch'essa "merita i suoi applausi".
L’Elleboro è scritto da Dimitri Patrizi. Elisabetta Borille e Giovanna Gagliardini sono accompagnate dalla chitarra di Roberto Sanvito. Giovanna Gagliardini è aiuto regia.
Una produzione della Compagnia del Saramita.
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