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GIACOMO FAVA

ATTORE

MILANO

Biografia

Nasce a Milano nel 1999. Si appassiona alla lettura, alla musica e al teatro. A 18 anni frequenta il corso accademico di recitazione di Scuola Mohole. Successivamente, partecipa a stage e workshop di Commedia dell’Arte, teatro fisico e improvvisazione teatrale all’AIDAS di Versailles e all’ATF di Torino e di drammaturgia al Teatro Bellini di Napoli. Con il collettivo Foma Fomic scrive, dirige e recita in due spettacoli di teatro-canzone: Foma Fomic nello Spazio (2020) e Lo sbarco in Lombardia (2022). Nel 2021 collabora come sceneggiatore con il regista Samuele Bergamini, candidato ai David di Donatello.

È una delle voci dei podcast di Rizzoli Education.

Nel tempo libero cucina e va ai concerti.


SINOSSI - IL MIO FOMA IMMAGINARIO




Il mio Foma immaginario è la testimonianza visiva di una frattura interna, quella che divide ogni essere umano contemporaneo tra realtà e rappresentazione, tra realismo e idealismo, tra le fantasie dell’infanzia e la smaliziata e ottusa furbizia dell’età adulta. È il confronto artistico tra un uomo adulto e quello che un tempo era il suo amico immaginario, ora partner di scena:“Foma Fomic. Un nome gliel’ho dato. Un nome importante per me, ossia il mio stesso nome... Ma insomma, siamo o non siamo sulla stessa barca, Foma Fomic?” I due Foma Fomic hanno in mente un grande sogno: rivoluzionare il mondo dell’opera lirica attraverso le loro produzioni musicali visionarie e allucinate. Il progetto funzionerebbe anche, se non fosse che il Foma immaginario in realtà ha un’altra idea…

Man mano che lo spettacolo procede, la voce lirica diventa rappresentazione tangibile del mondo dell’immaginazione che, poco alla volta ma inesorabilmente, penetra nel reale fino ad avere la pretesa di modificarlo. Il mio Foma immaginario è uno spettacolo che, attraverso la forma del teatro-canzone, indaga gli aspetti surreali del mondo dello spettacolo, della volontà di successo e del rapporto complicato con la propria interiorità.


SINOSSI - LO SBARCO IN LOMBARDIA




Come in certi sogni buffi e angosciosi, i personaggi de Lo sbarco in Lombardia si muovono a fatica e sembrano non andare da nessuna parte. Sono tuttavia mossi quasi meccanicamente da un’inquietudine la cui origine si può trovare forse nelle strane manie di grandezza, forse nello sfacciato ottimismo che li anima. Forse ancora nella negazione più assoluta della realtà, in favore di un mondo in cui le guerre si combattono con le canzoni e gli slogan urlati dai balconi fanno paura solo a chi non ha capito che è tutta una farsa. Lo sbarco in Lombardia è un’escursione male organizzata nei meandri oscuri del tempo, senza bussola e con le ciabatte.

È una ridicola messinscena immersa nell’inesattezza storica, inzuppata di errori geografici, i cui protagonisti - come soldati inadeguati di un esercito guidato da patetici campanilismi e arretrati provincialismi - si trascinano in un delirio di sospetti, insidie, malumori. Forse sono spie che si fingono idioti. O, più probabilmente, il contrario.



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