Un padre prepotente. Un marito infedele (il poeta Ted Hughes). Due figli che la tengono ancorata al quotidiano. Antonella Voltan mette in scena il monologo Sylvia P 1932-1963: un racconto delicato sulla vita di Sylvia Plath, poetessa americana talentuosa.
E inguaribilmente infelice.
Nata a Boston da una famiglia di lingua tedesca, Sylvia è considerata un mito dalle femministe. E i miti, si sa, muoiono giovani: il 1963 è l'anno in cui viene assassinato John F. Kennedy, esce il primo album dei Beatles e Martin Luther King annuncia al mondo di "avere un sogno". Per Sylvia Plath invece è l'anno in cui i suoi sogni si infrangono: a soli 30 anni sigilla le finestre della cucina e infila la testa nel forno a gas. Ha lasciato sul tavolo pane, burro e due tazze di latte per i bambini.
Figlia di Otto Emil Plath, professore di college arrivato in America a sedici anni e stimato entomologo impegnato nello studio delle api, Sylvia ha una vera e propria ossessione per la perfezione della scrittura. E per i maschi della sua vita: "Padre mi vedi? Ich bin die Bienenkönigin. Sono la tua ape regina.“
Ma l'alveare è silenzioso. Sua madre Aurelia Schober - una delle studentesse di Otto - non smette di chiederle di diventare "migliore”. Migliore di chi?
Eppure Sylvia è stata una bambina prodigio: a 8 anni ha pubblicato la sua prima poesia; ha partecipato (e vinto) concorsi letterari; ha venduto una poesia e un racconto mentre era al liceo; ha vinto il concorso di narrativa della rivista Mademoiselle nel 1952 e ottenuto una borsa di studio allo Smith College, dove si è laureata con il massimo dei voti.
"Parlo con Dio, ma il cielo è vuoto": Sylvia insegue il suo sogno a dispetto del suo destino.
Il monologo Sylvia P 1932-1963 - per la regia di Lara Franceschetti - dà voce alla vita interiore di una donna sensibile destinata alla follia: "Non c'è via d'uscita dalla mente?".
No non c'è.
Nel 1982 Sylvia Plath è la prima poetessa a vincere, dopo la morte, il Premio Pulitzer per la poesia, con The Collected Poems: “Sono sempre stata e mi son sempre sentita come un libro aperto, circondato da analfabeti”.
La vita dell'americana che riposa in Gran Bretagna ricalca quella di innumerevoli letterati che hanno scelto di andarsene: da Ernest Hemingway ad Arthur Kostler, da Pierre Drieu La Rochelle a Primo Levi, da Vladimir Majakowskij a Emilio Salgari, da David Foster Wallace a Rainer Maria Rilke da Cesare Pavese a Yukio Mishima, da Walter Benjamin a Jack London, solo per citarne alcuni.
"Volevo essere mito. Io non volevo stare: volevo essere! Dando corpo alla spinta che da dentro mi chiedeva perentoria di uscire e diventar voce. Unica, irripetibile. La mia voce. Proiettile che si conficca in un cuore e vi rimane per sempre”.
L'interpretazione di Antonella Voltan è intensa e lieve. La regia è a cura di Lara Franceschetti: "Questa è la mia storia - dice Sylvia- la storia di una fame inestinguibile. La storia di una vela fatta per il mare, incapace di prendere il largo, incagliata sul fondo della sua fragilità. Essere vento e voler farsi scoglio. Questa è la storia di un corto circuito. Schiaccio i chicchi tra i denti, la polpa asprigna si frantuma. Non li ho contati. O forse sì".
Due donne scavano nell'anima di una donna che voleva entrare nell'olimpo dei grandi.
Ora sappiamo che ci è riuscita.
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